Prosciutto, alle origini del nome
La storia del prosciutto arriva da molto lontano. Si riconosce al mondo latino l’origine del termine “prosciutto”, per cui esistono due diversi riferimenti etimologici: alcuni studiosi asseriscono che la parola sia costituita dalla particella pro – che indica l’anteriorità dell’azione – e dal verbo latino exsuctus, participio passato di exsugere, che significa spremere, inaridire. Altre traduzioni propendono per prae suctus, che significa succhiato. Entrambe le ipotesi etimologiche si riferiscono al processo che precede il prodotto alimentare finale, indicando caratteristiche afferenti alla lavorazione.
Di altra natura è l’origine della parola spagnola: in questo caso il nome non deriva dalle tecniche di conservazione utilizzate ma dalla parola francese jambon. La Spagna infatti, nei secoli passati, ha subito per anni l’influenza della lingua francese per quanto riguarda la terminologia gastronomica. Jambon a sua volta deriva dal latino gamba, che a sua volta viene dal greco καμπή (curvatura, articolazione).
In inglese prosciutto viene tradotto ham, derivazione diretta dal protogermanico hamma, che significa gambo.
Molte etimologie, quindi, per un prodotto pregiato ed apprezzato.
Cenni storici sul prosciutto
Il prosciutto ha una storia lunga 2500 anni. Le origini del prosciutto hanno radici già nella civiltà etrusca, dove l’allevamento dei suini costituiva un tassello importante del sostentamento della popolazione. Infatti, intorno al V secolo a.C., gli arti inferiori dei suini venivano lavorati e conservati sotto sale, per poi essere usati insieme a vino e grano come merce di scambio con la vicina Grecia.
Già a partire da allora, la carne proveniente dalla penisola italiana era molto apprezzata anche al di fuori dei suoi confini, sia per l’incredibile gusto sia per la sua estrema digeribilità, come sostenuto da Ippocrate, padre della medicina greca (460 a.C. – 377 a.C.).
Per questo periodo storico si fa affidamento solo sui reperti rinvenuti durante gli scavi archeologici, mentre le prime fonti scritte che attestano l’esistenza di questo alimento vanno ricercate in epoca romana. Tra le illustri personalità dell’epoca che hanno citato nei loro scritti l’insaccato ricordiamo: Polibio, M. Porzio Catone, Ovidio, Apicio e Catone il Censore. Addirittura, nel De Re Rustica, redatto nel 37 a.C. dall’agronomo Marco Terenzio Varrone, si trova quella che sembra una vera e propria ricetta del salume, nonché diverse indicazioni molto interessanti su come fosse consumato tanto dalla popolazione romana quanto dall’esercito durante le lunghe campagne militari.
Durante il periodo longobardo furono messe a frutto nuove tecniche di conservazione che permisero la lavorazione del prosciutto. Poter preparare e mantenere integra la qualità di un prodotto per un lungo periodo di tempo, utilizzandolo come scorta alimentare in vista di lunghi periodi di necessità, fu una scoperta tutt’altro che irrilevante per l’epoca.
Durante il Medioevo l’allevamento dei suini si affermò con maggiore vigore, diffondendosi in maniera capillare e stabile su tutto il territorio italiano. Tra i XII ed il XVII secolo la produzione del prosciutto e, in generale, di tutti gli alimenti derivati dal suino, lascia la sfera domestica per diventare un vero e proprio mestiere. Nasce, così la figura del norcino, specializzato nella produzione di prodotti salumieri. Un avvenimento che si tradusse nella creazione di corporazioni o confraternite e nella redazione di bandi e statuti che regolarizzassero la produzione dell’alimento. L’ottima qualità della carne e la comprovata professionalità dei norcini divennero, dunque, fondamentali per la produzione di insaccati.
Nato per esigenza delle classi più povere, man mano il prosciutto è divenuto un prodotto sempre più raffinato, tanto da guadagnarsi a partire dall’epoca rinascimentale un posto d’onore sulle tavole delle famiglie nobili.
Dall’800 l’avvento di nuove tecnologie permise la nascita di salumifici e laboratori industriali. La possibilità di commerciare il prosciutto anche oltre mare grazie all’invenzione del frigorifero e alla sensibile miglioria delle condizioni igieniche, diede un significativo slancio all’imprenditoria salumiera. Dalla seconda metà del XX secolo fino ai giorni nostri, sono diverse le leggi varate a tutela del prodotto e dei suoi consumatori. La richiesta del riconoscimento di tipicità (IGP e DOP) sono la garanzia di una produzione controllata e fedele ai comprovati standard europei.
DOP e IGP: i riconoscimenti di qualità
Affinché venisse tutelato il marchio Made in Italy anche all’estero, è stata necessaria l’introduzione di una garanzia che certifica la provenienza delle carni, la produzione specifica in un’area delimitata e la qualità del prodotto confezionato. In Italia ci sono diverse sigle ad indicare i prodotti definiti “protetti”, quelli le cui caratteristiche sono considerate uniche e che rappresentano un tesoro enogastronomico di inestimabile valore.
DOP è l’acronimo di Denominazione di Origine Protetta: i prodotti a marchio DOP non solo garantiscono la territorialità della produzione ma anche i mezzi tecnici utilizzati, grazie ai cosiddetti disciplinari di produzione. Il prodotto DOP si identifica grazie alle caratteristiche legate all’applicazione del disciplinare di produzione, di cui al primo punto comprova l’origine storica dell’alimento nel territorio denominato.
IGP significa Indicazione Geografica Protetta. Molto simile alla classificazione DOP, differisce per un solo elemento: il marchio IGP è necessario che solo una fase tra produzione, trasformazione ed elaborazione avvenga nell’area geografica delimitata deputata all’attività gastronomica. Quindi nel prodotto IGP, il territorio attribuisce caratteristiche uniche al prodotto alimentare, ma non tutti i fattori che concorrono alla produzione del prodotto finito provengono dal territorio delimitato.

Eccellenza e specificità del Prosciutto di San Daniele
Tra i diversi standard da rispettare che garantiscono la produzione vi è il peso dell’animale, regolamentato dal disciplinare del Prosciutto di San Daniele. Fondamentale per un salume particolarmente pregiato è la stagionatura, che assegna ad ogni prosciutto della tradizione enogastronomica italiana un sapore unico e non replicabile altrove. Anche il colore è un buon indicatore della qualità del prodotto: mentre la carne deve essere preferibilmente tra il rosso e il rosa, le parti grasse devono essere bianche o appena rosate.
Come nel caso del Prosciutto di San Daniele, fregiato del marchio DOP e noto in tutto il mondo per la tipica forma a chitarra. Il San Daniele prende il nome dal piccolo comune in provincia di Udine che ne ospita la produzione, la cui principale attività economica del territorio si basa sulla filiera produttiva del Prosciutto. La dedizione e la passione della comunità di San Daniele del Friuli nel preservare e tramandare una tradizione culinaria lunga secoli, rendono l’insaccato un prodotto unico nel suo genere. Il Prosciutto di San Daniele è inoltre profondamente legato al luogo in cui viene prodotto: la posizione geografica e la composizione del microclima rendono San Daniele del Friuli un luogo irripetibile per la stagionatura dell’insaccato, risultato dell’incontro della brezza fredda delle Alpi del nord e di quella marina dal Mar Adriatico. Nel 1961 è stato costituito il Consorzio del Prosciutto di San Daniele che ad oggi conta 31 soci produttori, a tutela e promozione nel mondo del Prosciutto di San Daniele.
Per gustare tra le mura domestiche il sapore del prosciutto appena affettato non serve essere dei maestri del taglio. Ci sono due modi per tagliare il prosciutto: quello a coltello e quello con l’affettatrice. Per tagliare un prosciutto a coltello è necessario utilizzare un prosciutto intero con osso e quindi iniziare con un coltello da scotenno, con cui eliminare l’anchetta, lo stucco superficiale e la cotenna. È importante rimuovere solamente lo stucco e la cotenna interessati dal taglio, così facendo, il prosciutto non utilizzato verrà mantenuto al riparo, conservando intatte le sue caratteristiche. Con una morsa bloccare il prosciutto per rendere più stabile e agevole il taglio. A questo punto, con un coltello a lama lunga e sottile si può iniziare il taglio parallelamente all’osso. Lo spessore della fetta è a discrezione del gusto personale. Una volta arrivati all’osso femorale sarà sufficiente capovolgere il prosciutto dalla parte del fiocco e ripetere la medesima operazione.
La procedura di affettamento a macchina è decisamente più semplice. Rispetto al taglio a coltello, la macchina taglia perpendicolarmente rispetto alla posizione (originaria) dell’osso. Prima di tutto, con un coltello da scotenno, eliminare dal prosciutto la cotenna. Procedere poi al taglio posizionando il prosciutto sull’affettatrice dalla parte precedentemente pulita ed affettare con il grasso rivolto verso l’alto.
Valori nutrizionali del Prosciutto
I valori nutrizionali del prosciutto crudo generalmente variano a seconda del tipo di carne. Quello che di norma accomuna le varie tipologie sono le moltissime proteine contenute, quasi fino al 28%. A seconda della varietà, il grasso costituisce circa il 18 – 23%, localizzato soprattutto nella parte esterna. Tuttavia, esistono dei tipi di prosciutto “magro” in cui la percentuale di grassi non supera il 3%. Tra i lipidi naturalmente contenuti nel prosciutto troviamo il colesterolo, pari circa a 70 mg per 100 grammi di alimento. All’assenza quasi totale di carboidrati nel prosciutto crudo corrisponde un certo quantitativo di acqua. Il Prosciutto crudo contiene un rilevante numero di vitamine del gruppo B, in particolare B1, B2, B3 e B6, e sali minerali, come potassio, sodio, magnesio, ferro, zinco e fosforo. Inoltre, i prosciutti tutelati dal marchio DOP – come il Prosciutto di San Daniele – sono totalmente privi di conservanti, nitriti e nitrati, ritenuti dannosi per l’organismo.
Buono per la salute e squisito per il palato: il Prosciutto è un alimento da portare a tavola.
Sguardo sull’export, ecco i numeri del Prosciutto
Nell’ambito della norcineria, l’Italia è un’eccellenza conosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Si tratta, infatti, di un mercato altamente redditizio il cui fatturato, secondo L’associazione industriali delle carni e dei salumi (ASSICA), cresce di anno in anno.
Dall’ultimo rapporto annuale dello Scenario economico in Italia e nel mondo redatto da ASSICA, la produzione alimentare 2019 ha evidenziato un trend espansivo premiante per la manifattura nazionale. Si tratta di un +3,0% sull’anno precedente, quasi il triplo rispetto al 2018, segno che l’industria alimentare resiliente, artigianale e anti-ciclica non conosce ostacoli.
Secondo i dati di ASSICA, le esportazioni di prosciutto crudo stagionato hanno registrato una leggera flessione. Confrontando i primi nove mesi del 2019 con lo stesso periodo dell’anno precedente, si riscontra un calo dell’1,2% nel volume di vendita, pari a 51370 tonnellate, e del – 2,9% a valore, per 544,5 milioni di euro.

Il San Daniele: un prosciutto italiano
I dati diffusi dal Consorzio di San Daniele riferiti al 2020 registrano performance in linea con i bilanci attesi dal comparto alimentare che, nonostante una flessione dell’export, confermano il San Daniele come uno dei principali driver del settore enogastronomico italiano.
Lo scorso anno la produzione totale del Prosciutto di San Daniele DOP è stata di 2.546.000 cosce avviate alla lavorazione, provenienti dai 45 macelli che trasformano la materia prima fornita dai 3.626 allevamenti italiani autorizzati. I numeri che interessano le esportazioni estere del Prosciutto di San Daniele viaggiano alti come previsto dai risultati attesi in materia, che rispecchiano la costante attività produttiva del Consorzio e che premiano con un valore dell’export pari al 18%. Il fatturato totale ha raggiunto i 310 milioni di euro.
Per quanto riguarda l’export, il fatturato si è attestato a un totale di circa 4 milioni di chilogrammi di prodotto destinato al mercato estero, di cui il 57% delle quote totali è destinato all’Unione Europea.
Le quote più rilevanti per l’esportazione confermano, in ordine: la Francia con il 26,1% del mercato, gli Stati Uniti con il 16,5%, la Germania con il 15,3% e, ultimo paese in doppia cifra, l’Australia con il 12,3%. Seguono il Belgio (6,1%), la Svizzera (5,7%), l’Austria (2,2%) e in misura inferiore Brasile, Canada, Giappone, Regno Unito, Lussemburgo e Olanda. Segnali di apprezzamento arrivano anche dalla crescita dei mercati dell’est Europa. Si registra infatti un positivo incremento, rispetto allo scorso anno, in Romania (+194%), Polonia (+82%), Slovenia (+49%), Ucraina (+46%) e Repubblica Ceca (+15%).
Il totale della produzione delle vaschette di pre-affettato registra una tendenza in costante crescita, con oltre 21,3 milioni di vaschette certificate pari a 398.968 prosciutti per un totale di oltre 1.85 milioni di chilogrammi. Di questo, il 22% è destinato all’estero.
Mentre fuori dall’Italia appare predominante il consumo di prodotto nella sua forma integra, le tendenze nel nostro Paese rispecchiano un trend perfettamente in linea con i nuovi stili e modalità di consumo, che prediligono prodotti sempre più ready to eat.